Ciao Rachele! Il tuo esempio sarà fonte di ispirazione per chi ti ha amato.

“Se hai bisogno di qualcosa dimmello” diceva con la voce bassa, inconfondibile. Quella che insegnava a impostare nei laboratori teatrali che teneva agli aspiranti attori, quella che era passata dagli spettacoli e dalla tv, dal doppiaggio, dalla dizione, dal lavoro costante con la compagnia Tiberio Fiorilli. Rachele Viggiano era per tutti una donna di teatro, pura. Per me era la signora che mi preparava degli spaghetti all’orientale buonissimi. Suonava il campanello, e nel tempo che io ci mettevo ad aprire la porta lei aveva già fatto tre passi indietro e mi aspettava sull’uscio di casa sua. Perché Rachele era la mia vicina di casa, quella che mi diceva “non preparare niente per pranzo, dammi un piatto e ci penso io”. E ora che non usciamo da tempo per paura del Covid-19 io della sua morte ho saputo tramite Facebook. È incredibile pensare che non ci sia più, che è stata travolta e portata via da un male nel giro di pochi giorni. Quando ho letto il post ho preso il telefono in mano e ho pensato: “Chiamo Rachele”. L’istinto ha provato a ingannare la mente, solo dopo qualche minuto è arrivata la ragione. Rachele non c’è più, e io – barricata in casa da oltre un anno – non ho sentito alcun trambusto nei giorni passati, e neanche all’alba, quando se n’è andata definitivamente via, a 53 anni. Lascia il suo Dino Signorile, lascia attonito il condominio in cui ha vissuto. Lascia disarmata me, che chissà quanto tempo ci vorrà per capire che quando il campanello suona e io apro la porta non me la troverò dall’altra parte del pianerottolo pronta a chiedermi come sto, “e se hai bisogno di qualcosa dimmelo”.
Non ricordo l’ultima volta che ci ho parlato, perché purtroppo con i vicini di casa funziona così: si danno per scontati. Eppure non erano scontati la sua premura discreta e costante, il pensiero sempre gentile. Era stata la prima persona a darmi il benvenuto nella mia nuova casa, ad aiutarmi con la chiave del portone che non funzionava. Le rare volte in cui sono uscita in questo complicato anno di pandemia la trovavo magari al balcone, ma prima che me ne accorgessi arrivava il suo “Ciao, Anna” con la voce bassa, inconfondibile. Quella che insegnava a impostare nei laboratori teatrali che teneva agli aspiranti attori, quella che era passata dagli spettacoli e dalla tv, dal doppiaggio, dalla dizione, dal lavoro costante con la compagnia Tiberio Fiorilli. La stessa che adesso sento riverberare sul pianerottolo e nella stradina davanti alle nostre case vicine, e ho bisogno di qualche secondo per accettare il fatto che non è la sua, che non sarà mai più la sua. Di recente Rachele mi aveva invitata a seguire un suo spettacolo online, perché diversamente a teatro ancora non si può andare. L’aveva provato alla perfezione con i suoi colleghi, e io le avevo detto che ero pronta, avevo prenotato pure il biglietto. Poi però lo streaming dell’evento me l’ero perso, le avevo promesso che avrei provato a recuperarlo. E invece no, Rachele. Non ci sono riuscita. E ora non posso neanche venire a scusarmi porgendoti io un piatto di spaghetti di soia all’orientale, perché non saprei cucinarli, e perché non sarebbero mai buoni quanto i tuoi.

Teatro barese in lutto, Rachele Viggiano è morta a 53 anni: “Per tutti la donna del palcoscenico, per me una dolce vicina di casa”
di Anna Puricella