di Mario Tobino
con Livia Castellana
regia Andrea Buscemi
musiche Niccolo’ Buscemi
aiuto regia Martina Benedetti
L’urgenza di riproporre a teatro le pagine di Mario Tobino ci pare assai significativa, in un periodo storico dove la Parola poetica è così quotidianamente perentoriamente mortificata dal linguaggio televisivo. L’imbarbarimento dei comportamenti e la volgarizzazione degli intenti di questa nostra ambigua e miseranda epoca da basso impero fa a pugni con gli alti ideali che mossero dapprima il suo approccio scientifico (intriso di così grande spessore umano), poi l’intero suo percorso letterario: dove la Poesia permea direi interamente ogni sua pagina. Ne Le libere Donne di Magliano Tobino è maestro nel tradurre i fremiti della sofferenza fisica e psicologica, e il suo messaggio si imprime nel ricordo, turbando il sonno a distanza di anni. Forse l’arte è simpliciter questo: sapienza nella descrizione del dolore. Tobino si spinge in avanguardia ancora più in là, quasi scommettendo nientemeno che sulla cognizione del medesimo. Non è semplice, il tema è anzi il più arduo. E drammatico, perché in Tobino l’arte non imita la vita, ma è la vita stessa: per dirla con Artaud, guardacaso qui un emblema perfetto, esatta quintessenza di Teatro e Follia. Le sue pagine sono di una bellezza pittorica, e accumulano al contempo una massa enorme di materiale formale,atmosferico, umorale. Gioco di contrasto e contrappunto, per dare voce ai più umili. Già di per sé una drammaturgia perfetta: non restava che prenderci il lusso di dargli pienamente voce su un palcoscenico.
Nel libro Le libere donne di Magliano, Tobino ha tracciato i ritratti delle donne ricoverate nel manicomio di Maggiano (nei suoi scritti appena velato nell’identità da quel nome, Magliano, che lo trasporta dall’esperienza della realtà alla lente della letteratura), con quel rispetto e quell’umanità che i medici migliori sanno riservare ai loro pazienti. Sguardo esterno eppure partecipe, consapevole del passato e del presente delle donne sotto la sua cura, che non giudica né condanna ma sempre cerca quella strada verso l’anima che, seppure nascosta tra i meandri della follia, è presente in ogni persona.